Il collocamento prevalente presso il padre

Il collocamento prevalente presso il padre

Dopo aver pubblicato su l’affido condiviso a cura dell’Avv. Giampaolo Pisano, vogliamo affrontare un argomento abbastanza “spigoloso” in giurisprudenza, ovvero il collocamento prevalente presso il padre.

 

Anche se non apertamente, è orientamento dei Tribunali l’affido condiviso oppure collocare i figli minori presso la madre, talvolta, ritenuta più idonea e attenta alle esigenze dei minori quando la coppia si separa o cessa la convivenza.

La Suprema Corte, ha ritenuto opportuno specificare che non si tratta di una “preferenza”, anche se vi è una netto orientamento in tal senso, ma bensì, la collocazione presso il padre, avviene nel caso in cui la madre venga ritenuta inidonea e di pregiudizio per la crescita dei figli minori.
A prescindere dal principio della bi genitorialità, come può essere dimostrata l’inidoneità della madre? E’ chiaro che devono essere acquisiti tutti gli elementi di prova che dimostrino che la madre non è in grado di svolgere i propri compiti sia per quanto riguarda la sfera affettiva, ovvero: attenzione, comprensione educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto con il padre che in qualche modo può essere emarginato dall’ex coniuge o dall’ex compagno.

Una volta che verranno effettuate tutte le indagini del caso, nella fattispecie, una relazione dettagliata da parte dell’ investigatore privato, e sulla base degli elementi acquisiti, si potrà proporre all’Autorità competente la collocazione presso il padre al fine di assicurare il recupero del rapporto, pregiudicato talvolta da lunghe interruzioni dovute all’atteggiamento da parte della madre nei confronti dell’ex o con atti ostruzionistici.

Sono sempre più frequenti i casi in cui i giudici hanno ritenuto di dover assegnare i minori figli al padre nel momento in cui la madre ostacola, in qualche modo il diritto di visita o comunque “utilizza” i figli come strumento di vendetta nei confronti del padre, quale ad esempio l’alienazione parentale che rientra, in taluni casi, nelle patologie psicologiche.

Ogni minore ha diritto a crescere con entrambi i genitori ma la collocazione può e deve essere modificata quando uno dei due ex coniugi o ex compagni ostacoli le relazioni parentali.

Certuni, tuttavia considerano che il collocamento prevalente presso il padre venga considerata come una “punizione” nei confronti del genitore che è palesemente affetto dalla sindrome di alienazione parentale.

Una recente ordinanza della Suprema Corte ha stabilito il collocamento di una figlia minore presso il padre, in quanto era stato dimostrato che il padre era in grado di creare un rapporto positivo con la prole rispetto alla madre considerata inidonea ad assicurare una regolarità educativa e di vita.

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Lo Stalking Giudiziario

Lo Stalking Giudiziario

Lo stalking giudiziario è un reato previsto e punito dall’art. 612 bis del Codice Penale.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita

Nello stalking giudiziario avviene un ribaltamento dei ruoli, in quanto il carnefice si traveste da vittima e trascina in tribunale la vera parte lesa. In genere avviene quando il coniuge non accetta la separazione o il divorzio, soprattutto se avvengono in seguito a violenze domestiche. Spesso il tutto viene accompagnato con la minaccia di togliere i figli alla controparte.

E’ un vero e proprio stalking nello  stalking e si verifica quando l’ex coniuge, ferito dal trauma di una separazione conclusa male, continua a perseguitare il coniuge o il  compagno/a, non solo con minacce, insulti e aggressioni, ma pensa di potersi affidare ad una giustizia, che in realtà è la “sua giustizia”, che ritiene a suo favore, con continue denunce.
Ciò avviene soprattutto quando si è in presenza di figli che si cerca in tutti i modi di sottrarre, all’ex moglie o all’ex compagna e viceversa, inventando di sana pianta qualsiasi tipo di stratagemma per supportare la tesi delle continue denunce.

Al primo insorgere di queste problematiche consigliamo di rivolgersi immediatamente al nostro Studio www.studiomasile.it al fine di porre in essere tutte quelle attività per acquisire gli elementi di prova per la salvaguardia della propria vita privata e dei propri congiunti.

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Separazione: addebito per infedeltà

Separazione: addebito per infedeltà

Uno dei principali motivi per cui un matrimonio può naufragare sembrerebbe essere l’infedeltà coniugale.

Anche se, come più volte chiarito dalla stessa Corte di Cassazione, spesso è proprio la crisi di coppia a determinare una successiva infedeltà.

Talvolta sono le incomprensioni o le incompatibilità di carattere che possono spingere a cercare fuori dalle mura domestiche un rapporto sentimentale appagante. Ma a volte il tradimento può essere scatenato semplicemente dalla stanchezza e dalla noia che subentrano all’interno di un rapporto di coppia che non si è stati in grado di mantenere vivo e interessante.

In linea teorica il coniuge tradito, in sede di separazione, può chiedere l’addebito della separazione a chi ha violato l’obbligo di fedeltà. Ma la possibilità di ottenere una pronuncia di addebito è tutt’altro che scontata.

Perché il giudice possa addebitare la separazione a carico del coniuge infedele è necessario dimostrare che il tradimento sia stato la causa della crisi matrimoniale e non il suo effetto. Se, pertanto, il tradimento interviene in un momento in cui il matrimonio è già in crisi non c’è motivo per addebitare la separazione al coniuge fedifrago.

La vicenda giudiziaria presa in esame dalla Corte vede come protagonista una coppia con quattro figli di cui due ancora minorenni.
In primo grado il Tribunale di Nuoro aveva respinto le reciproche richieste di addebito della separazione.
Il giudice aveva anche disposto l’affidamento delle minori alla madre assegnando alla donna la casa coniugale nonostante quest’ultima vivesse già da tempo altrove con un altro uomo.
La vicenda era piuttosto complessa perché oltretutto la casa coniugale era stata data in locazione dalla donna ad una società.

Il giudice aveva disposto a carico del marito l’obbligo di versare un mantenimento di € 5000 mensili per la moglie ed  € 700 mensili per le due figlie minorenni.

L’ex marito proponeva appello chiedendo che venisse dichiarato l’addebito della separazione alla moglie con conseguente eliminazione dell’assegno di mantenimento.

La Corte d’Appello di Cagliari, in parziale accoglimento del gravame, addebitava la separazione alla donna, revocava l’assegnazione alla stessa dell’alloggio coniugale e l’assegno per il suo mantenimento. Disponeva anche l’affido congiunto ai genitori delle due figlie minorenni, con collocazione delle medesime presso la madre.

A questo punto la donna ricorreva in Cassazione facendo rilevare che erroneamente la Corte territoriale aveva fato risalire la crisi coniugale all’anno in cui la donna aveva intrapreso una relazione extraconiugale mentre nella realtà dei fatti la crisi coniugale era già da tempo in atto ed era stata determinata dal comportamento del marito che aveva reso la convivenza insopportabile a lei e ai figli a causa di continue vessazione, intimidazioni, liti e comportamenti prepotenti e prevaricatori manifestatisi fin dai primi anni del matrimonio.

Nell’atto difensivo si faceva rilevare che questi aspetti erano stati evidenziati dal Tribunale ed avevano trovato conferma in copiosi riscontri documentali.

In merito alle disposizioni testimoniali raccolte durante il procedimento, la donna faceva notare come le stesse avevano dimostrato che il rapporto matrimoniale si era già incrinato da tempo, molto prima del tradimento.

Insomma, secondo la ricorrente i giudici della Corte d’Appello avevano ricostruito la vicenda giudiziaria in maniera sbrigativa e superficiale, dando più una valutazione di tipo moralista e non aveva operata una preventiva valutazione comparativa delle condotte e dei rispettivi comportamenti tenuti dai coniugi.

Con riferimento all’affidamento delle figlie minori si censurava la statuita riforma del regime di affidamento delle figlie, ossia l’attuata opzione per il loro affidamento congiunto in luogo di quello esclusivo a lei stabilito dal Tribunale.

La donna contestava anche la revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

La Suprema Corte con sentenza n. 7410 del 28 marzo 2014 faceva notare che in realtà la corte territoriale aveva correttamente valutato le risultanze probatorie da cui era emerso che nei primi mesi dell’anno 2003 (ossia quando la donna aveva intrapreso la relazione extraconiugale) non era in atto una crisi coniugale, né si erano manifestati dissapori. Di conseguenza la relazione extraconiugale si era inserita in un momento di normale vita coniugale.

Entrambi i coniugi avevano ammesse che tra la fine dell’anno 2002 e l’inizio dell’anno 2003 avevano concordato una interruzione di gravidanza e non vi era prova che tale decisione fosse stata una conseguenza di un contrasto tra coniugi, mentre la gravidanza stessa denunziava la costanza di normali rapporti di coppia.

Oltretutto una teste (la cameriera al servizio della famiglia) aveva riferito di aver ricevuto l’incarico di controllare con una telecamera l’eventuale ritorno a casa del marito e di avvisare la Signora che nel frattempo si trovava assieme al compagno nella camera da letto coniugale.

Per quanto riguarda la casa coniugale costituita da una villa con piscina sita in un prestigioso complesso edilizio di Roma, la revoca dell’assegnazione era stata motivata dal fatto che secondo quanto emerso nel corso del giudizio la donna viveva in un altro lussuoso immobile in compagnie del nuovo compagno ed era rientrata per breve tempo in possesso dell’immobile ma non lo aveva occupato con i figli, per cui era evidente che non intendesse destinare il bene ad abitazione familiare, ma unicamente da ricavare da esso un reddito.

Fonte:
Cassazione: Perché ci sia addebito per infedeltà del coniuge va stabilito quando il tradimento si inserisce nel mènage matrimoniale.

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