Cagliaritano, Brunello Masile svolge indagini private su infedeltà coniugali e coppie che scoppiano.

Ficca il naso per professione nei vizi di una città al di sotto di tanti sospetti. Brunello Masile è un religiosissimo detective sprovvisto del physique du rol, Philip Marlowe sovrappeso, senza cappello a tese larghe, volute di fumo e pistola. “non ce l’ho e non la voglio, chi fa il mio lavoro può serenamente farne a meno”.

Quarantacinque anni e una laurea in giurisprudenza con vent’anni di investigazioni alle spalle
, Masile vorrebbe affrancarsi dallo stereotipo dell’investigatore tutto mogli infedeli e beghe di condominio: “Il futuro è nelle indagini difensive”.

I tradimenti non sono più di moda?
“E’ sbagliato banalizzare l’infedeltà coniugale, influenza i problemi di una coppia che si sta separando. Mi capita di verificare la moralità di un genitore per l’affido dei figli minorenni. Però mi occupo soprattutto di sicurezza industriale, tutela dei marchi e dei brevetti, cose di questo tipo”.

Un esempio?
“Un dipendente fa un altro lavoro in concorrenza con l’azienda che gli dà lo stipendio, magari durante i giorni di malattia. Oppure un giornalista che passa informazioni a una testata concorrente”.

Non è facile dire a una moglie che il marito la tradisce. Quale sistema usa?
“Quando viene da me lo sa già, diciamo che ha il novanta per cento di possibilità di avere soltanto una conferma”.

Pedina i fedifraghi anche nelle stanze d’albergo?
“Magari ventiquattr’ore su ventiquattro, per carità… Mi baso sulle indicazioni che mi dà il cliente, un appuntamento sospetto a una certa ora, così mi organizzo il lavoro”.

Il caso più antipatico?
“Ne ho seguito uno sorprendente, nel senso che si è risolto in maniera imprevedibile. Due coniugi si stavano separando, la moglie era convinta che il marito avesse una relazione extraconiugale. Nessun tradimento, solo fantasie, il rapporto è rifiorito”.

Quattro lustri di investigazioni la portano a dire che Cagliari è..?
“Normale, non ci sono grossi problemi, il tessuto economico è quello che è, in queste condizioni gli investigatori privati sono un bene accessorio”.

Vuol dire che c’è crisi?
“No. Evito di banalizzare la professione, credo nella figura dell’avvocato investigatore”.

E’ anche avvocato?
“Sono laureato in giurisprudenza”.

Dipendenti?
“Una segretaria, stop. Non mi fido di nessuno, lavoro da solo”.

Sotto la giacca ha fondina e pistola?
“Mai avuta, credo che la Prefettura faccia bene  non rilasciare il porto d’armi a chi fa il mio lavoro”.

Si traveste per lavoro?
“Una barzelletta”.

Le capita di fare intercettazioni telefoniche?
“Sono vietate dalla legge. Posso acquisire dichiarazioni, fare fotografie e cose del genere”.

La ingaggiano per combattere lo spionaggio industriale?
“In Sardegna il problema non esiste. Mi limito a scovare qualche dipendente infedele”.

In cambio di quanti soldi?
“I tariffari sono approvati dalla Prefettura”.

Quanto costa smascherare un dipendente che fa il doppio gioco?
“Da un minimo di trenta a un massimo di sessanta euro l’ora. Un caso medio può arrivare a mille-duemila euro”.

La categoria meno affidabile?
“Non esiste, la verità è che uno stipendio non basta più per mandare avanti una famiglia”.

I clienti sono imbarazzati la prima volta che entrano in ufficio?
“Perché dovrebbero? L’importante è parlare di tutto tralasciando il loro caso, non metterli in difficoltà. In questo mestiere pagano la puntualità, la precisione e la serietà professionale”.

Tra investigatori c’è una concorrenza selvaggia.
“La concorrenza non m’interessa, faccio questo lavoro con passione, ci credo”.

Crede a che cosa?
“A un servizio utile alla società, non mi interessano i soldi”.

Quanti clienti si rivolgono a lei in un anno?
“Quindici, venti, non ho la smania di diventare ricco. Giro in scooter e con la Smart, ho un orologio di plastica, frequento i cinema, amo il mare, ci vado preferibilmente da solo”.

Com’è arrivato alle investigazioni private?
“Ha iniziato mio padre nel 1967, lavorava in casa, stendeva i rapporti con una macchina da scrivere, era un sottufficiale di polizia in pensione”.

Cos’è cambiato in quarant’anni?
“Prima esisteva la figura del bidonaro, adesso c’è chi studia per anni come imbrogliare la gente”.

Quali sono gli attrezzi del mestiere?
“Le indagini. Se non sei sensibile ai problemi degli altri, hai sbagliato strada. Con questo lavoro non si diventa ricchi, l’9importante è portare a casa la pagnotta”.

E’ sensibile?
“Sensibile e religioso, vado a messa tutti i giorni e appartengo al movimento Apostoli di Maria”.

Non pensa che la religione faccia a pugni con questo lavoro?
“No, se fai ciò che devi con onestà”.

Nel Lazio alcuni suoi colleghi spiavano un politico. Mai ricevute richieste del genere?
“Mi lascia indifferente destra e sinistra, ho sempre scelto di non entrare in quel campo”.

Ha denunciato alla magistratura una scoperta fatta durante le sue indagini?
“Non interferisco in questo modo, questione di correttezza”.

Una certa iconografia vorrebbe il detective tabagista, col brandy sempre a portata di mano, alle prese con casi impossibili.
“Forse nei romanzi, la realtà è diversa. Il lavoro è proiettato sui palazzi di giustizia. Sì, raccogliere elementi per i processi è il nostro destino”.

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